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giovedì 28 maggio 2009

Zio Tibia, le mutande e la bionda

Ormai secoli fa, durante un interminabile viaggio in treno fino a Bologna, il prof. Sentimento Cuorcontento si era lasciato andare a filosofeggiare indecorosamente. Aveva pontificato del falsificazionismo di Popper, delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn e ci eravamo lasciati con la minaccia di una seconda puntata. Ebbene, complice un altro interminabile viaggio in treno alla volta di Venezia, eccola qui.

Eravamo rimasti al punto in cui si confrontavano due visioni. Quella di Popper, secondo la quale sono scienza solo le affermazioni falsificabili, e quella di Kuhn, secondo il quale la scienza è una successioni di periodi di normal science e di periodi rivoluzionari detti cambiamenti di paradigma. Col cavolo, dice Kuhn, che gli scienziati passano la vita a provare a demolire le loro stesse teorie: nei periodi di scienza normale si limitano al puzzle solving, guardandosi bene dal mettere alla prova le impalcature portanti delle loro teorie. Popper si arrabbia moltissimo: così, dice, si rischia il disastro di sostituire un criterio razionale con uno (bleah) sociologico. Ehi, l’ha detto lui, non io, OK?
K. Popper “Reply to my critics” in P.A. Schilpp, The Philosophy of Karl Popper. La Salle: Open Court (1974)
Spunta a questo punto Imre Lakatos, filosofo ungherese in forze, come Popper, alla London School of Economics. Lakatos definisce stunning, “mozzafiato”, come se fosse una stangona bionda, il falsificazionismo “ingenuo” di Popper e cerca di salvare capra e cavoli costruendone una versione più realistica. La teoria di Lakatos si chiama “sophisticated (methodological) falsificationism”, e già si capisce che è un po’ più complicata di quella di Popper.

Adesso ve la racconto, ma date retta al prof. S.C. e andate poi a sentirvela dalla viva voce di Imre Lakatos: esiste infatti la registrazione di una famosa conferenza del 1973 intitolata Science and Pseudoscience, che si può ascoltare online qui. Se non siete tanto pratici con l’inglese parlato, qui si trova la trascrizione, ma ascoltate comunque la voce di Lakatos. Al di là dell’importanza del documento storico, ha esattamente lo stesso accento di Zio Tibia.
Tra l’altro, il testo della conferenza è inedito in Italia, ma il prof. S.C. a nome del CICAP ha ottenuto dalla LSE il permesso di tradurlo e pubblicarlo su Scienza&Paranormale, potrete leggerlo su uno dei prossimi numeri.
Imre Lakatos, The methodology of scientific research programmes. Philosophical papers volume I and II. Cambridge: Cambridge university Press (1978) Tr. it. La metodologia dei programmi di ricerca scientifici. Milano: Il Saggiatore (1996)
La conferenza in questione è pubblicata in M. Motterlini (ed.) For and Against Method: Imre Lakatos and Paul Feyerabend. Chicago: University of Chicago Press (1999)
Veniamo al dunque. Primo punto: l’unità minima di descrizione e valutazione non è la singola ipotesi teorica, ma il “programma di ricerca”, cioè una sequenza di teorie che si evolvono nel tempo. Un programma di ricerca è fatto di tre pezzi: un “nucleo” di affermazioni che non sono in discussione (qualcosa di simile, anche se non esattamente, ai paradigmi di Kuhn); una serie di ipotesi ausiliarie più negoziabili che, nelle parole di Lakatos, costituiscono una “cintura protettiva” intorno al nucleo; infine un’euristica, ossia tutta una macchineria fatta di strumenti matematici e teorici che permette di “digerire” le anomalie trasformandole addirittura, talvolta, in prove a favore. Tra un momento vedremo un esempio e tutto sarà più chiaro, ma già si vede che si è persa un po’ della potenza e immediatezza esplicativa della biondona di Popper: per farla funzionare, bisogna mettere una specie di mutanda protettiva intorno alla teoria, e come tutte le mutande neanche questa è elegantissima.

Avremmo tutti preferito la bionda, magari senza tante mutande, ma avevo promesso un esempio, ed ecco qui quello che fa Lakatos. La fisica Newtoniana non è semplicemente l’unione di quattro congetture (le tre leggi della dinamica più quella della gravitazione): queste sono solo il “nucleo”, che è protetto dalle mutandone pesanti di un sacco di ipotesi ausiliarie, magari un po’ ad hoc. Un pianeta non si muove come dovrebbe? La bionda di Popper, ingenua come si dice siano le bionde, suggerirebbe di prendere e buttare via tutto; noi che siamo uomini di mondo, invece, proviamo a vedere se mettendoci un pianeta in più i conti tornano. Et voilà, appena un astronomo va a guardare scopre Nettuno proprio lì dove doveva essere. Dice Lakatos:
Scientists have thick skins. They do not abandon a theory merely because facts contradicts it. They normally either invent some rescue hypothesis to explain what they then call a mere anomaly and if they cannot explain the anomaly, they ignore it.
Secondo punto: per essere scienza, non basta essere un programma di ricerca. Chiameremo “scientifici” i programmi di ricerca progressivi, “pseudoscientifici” quelli regressivi (in inglese il termine è degenerating).

Santo cielo. Che significa?

Una teoria scientifica di successo si distingue perché è altamente predittiva: è in grado di prevedere fenomeni non ancora osservati, che magari contraddicono le teorie rivali. Lakatos fa di nuovo un esempio legato alla fisica Newtoniana. Ai tempi di Newton esistevano due teorie sull’origine delle comete. La prima sosteneva che le comete erano un segnale che Dio aveva perso la pazienza e stava per passare ai fatti che, di solito, comportano pianto e stridore di denti. L’altra, di Keplero, ipotizzava che le comete fossero corpi celesti che si muovono in linea retta. Ora, se la gravità funziona come dice Newton, le traiettorie dei corpi celesti sono curve della famiglia delle coniche, di cui la linea retta è un caso molto particolare. Tra le coniche ci sono parabole e iperboli, che sono curve aperte: un oggetto che passi vicino alla terra seguendo una parabola non tornerà mai più. Ma le coniche includono anche le ellissi, che sono curve chiuse. Edmund Halley, misurando la parte visibile della traiettoria della cometa del 1682, scoprì che si muoveva proprio lungo un’ellisse, e che sarebbe ritornata vicino alla Terra dopo settantasei anni. Attenzione: il punto qui è che senza la teoria di Newton, il pezzettino di orbita misurato da Halley avrebbe potuto appartenere a qualunque curva, scarabocchi e ghirigori compresi. Halley poté prevedere una curva chiusa proprio perché Newton gli passava solo un menu striminzito: parabole, iperboli o ellissi, e che si aggiustasse lui. Passano settantasei anni ed eccola lì: le comete smettono di essere cazziatoni sovrannaturali (e, incidentalmente, anche di muoversi in linea retta).

Viceversa, un programma regressivo “inventa” teorie extra per accomodare fatti noti, e quando fa previsioni le fallisce, razionalizzando i fallimenti a posteriori (il prof. S.C. lascia ai lettori l’esercizio di trovare un esempio).
Avete capito? Per dirla tecnicamente, in un programma di ricerca progressivo ciascuna nuova teoria ha un contento empirico addizionale rispetto alla precedente, in un programma regressivo no.

E le rivoluzioni di Tom Kuhn, come lo chiama Lakatos, che fine hanno fatto? Semplicemente, tra programmi di ricerca rivali un po’ alla volta (o magari tutto assieme, così sembra di più una rivoluzione) gli scienziati si spostano verso quello che si rivela più progressivo degli altri, di fatto rimpiazzandoli. Così, dice Lakatos,
On close inspection both Popperian crucial experiments and Kuhnian revolutions turn out to be myths: what normally happens is that progressive research programmes replace degenerating ones.
Il problema, a questo punto, è che a noi sarebbe piaciuto avere un criterio di demarcazione affilato e micidiale, che bastasse guardare un creazionista negli occhi e sibilargli «infalsificabile!» per vederlo arrossire, chiedere scusa e correre a comprarsi tutti i libri di Pievani. Invece ci troviamo con questo arnese complicato e viene fuori che, a dar retta a Lakatos, bisogna star lì per anni a vedere come il programma evolve, se si arricchisce di contenuto empirico o no, magari dargli ancora un po’ di tempo, non si sa mai. Che fregatura.

Ma forse i tempi sono maturi: chiacchierando per mail con il responsabile del “fondo Lakatos” alla London School of Economics, mi diceva che una rigorosa analisi Lakatosiana del creazionismo non c’è, e sarebbe molto interessante. C’è un epistemologo in sala?

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